L’emergenza Covid-19 ci ha costretti a rivedere luoghi e modalità di lavoro per fare fronte a un Cigno Nero, un evento imprevedibile e di enorme impatto
Il Covid come Cigno Nero
Eravamo convinti che Open Space e spazi dedicati alle attività condivise all’interno di grandi hub fossero l’estrema frontiera del mondo del lavoro, un approccio destinato a svilupparsi e diffondersi sempre più. Una prospettiva cui la pandemia ha posto uno stop tanto inaspettato, quanto perentorio. D’improvviso, vicinanza e interazione – elementi cardine di queste modalità lavorative – sono diventate un problema, anzi, sono diventate Il Problema.
Lo scenario è cambiato davanti ai nostri occhi e ci ha costretti a modificare le logiche lavorative nel tentativo di far fronte a un evento imprevisto e il cui impatto è destinato a riecheggiare a lungo. Un Cigno Nero, per utilizzare la famosa definizione elaborata dal filosofo e matematico Nassim Nicholas Taleb, ovvero “[…] un evento isolato, che non rientra nel campo delle normali aspettative, poiché niente nel passato può indicare in modo plausibile la sua possibilità. In secondo luogo, ha un impatto enorme. In terzo luogo, nonostante il suo carattere di evento isolato, la natura umana ci spinge a elaborare a posteriori giustificazioni della sua comparsa, per renderlo spiegabile e prevedibile”.
Un Cigno Nero è un evento imprevedibile, con un impatto enorme e per il quale – a posteriori – vengono elaborate giustificazioni per renderlo spiegabile e prevedibile.
La corsa ai ripari: lo smart working
Qual è stata la risposta del mondo del lavoro al Cigno Nero? L’unica possibile o quantomeno l’unica a essere applicabile in una manciata di giorni: lo smart working. Una modalità lavorativa che – prima guardata con diffidenza e adottata da una esigua minoranza – è diventata negli ultimi mesi la norma per moltissime realtà lavorative.
Tuttavia, anche se il lavoro da remoto ha garantito – in molti casi – la continuità lavorativa, lo ha fatto al prezzo dell’interazione in presenza. Un elemento da non sottovalutare, considerando che proprio questa interazione è il terreno fertile per lo sviluppo di idee, confronto e crescita personale (oltre che spesso essenziale per l’equilibrio psicofisico del lavoratore stesso).
I limiti del lavoro da remoto
Lo smart working è diventato dunque la soluzione d’emergenza, che però pone non pochi interrogativi rispetto alle conseguenze che può causare sul lungo periodo. È infatti lecito chiedersi se sia realistico – o anche solo auspicabile – pensare di lavorare da casa per sempre?
I primi e più evidenti limiti sono quelli relativi alle professioni che non possono essere svolte da remoto e che dunque rimangono escluse per definizione da questa modalità lavorativa. Tuttavia, le criticità non mancano anche per quelle mansioni che presentano la possibilità teorica di essere previste in smart working. Per esempio, non tutti i lavoratori hanno gli strumenti o gli spazi ideali per svolgere il proprio lavoro da casa, il che può portare anche a ripercussioni psicologiche: per esempio per chi potrebbe vergognarsi nei confronti dei colleghi della propria casa, dell’irrompere di bambini o altri membri della famiglia in occasione di call-conference e così via.
Ripercussioni che, peraltro, non si limitano a questo aspetto: secondo un’inchiesta riportata dal quotidiano La Repubblica*, i workers italiani nel corso del lockdown hanno lavorato in media tre ore in più al giorno con un quadro complessivo di maggiore stress, ansia e affaticamento. Senza contare altri effetti collaterali quali i danni alla vista che un numero eccessivo di ore davanti allo schermo comporta.
Il lavoro da casa può creare difficoltà pratiche, psicologiche, di salute; ma è l’unica alternativa alla presenza fissa in ufficio? E la mancata dimensione sociale che impatto può avere sulla nascita di idee, progetti, innovazioni?
Ultima, ma non meno importante, la tendenza dell’essere umano alla socialità. Già nel IV secolo a.C. Aristotele sosteneva in merito che “l’uomo è un animale sociale”. A ribadire oggi il concetto troviamo tra gli altri anche l’economista Nicholas Bloom, che sottolinea anche come gli incontri e le collaborazioni dal vivo siano fondamentali per stimolare e generare nuove idee, tanto da temere che“il crollo dell’ufficio porterà a un crollo nell’innovazione. Le nuove idee che stiamo perdendo oggi potrebbero presentarsi come un numero minore di nuovi prodotti nel 2021 e oltre, rallentando la crescita di lungo periodo”. Insomma, gli effetti ci sono e li vedremo più avanti.
Nuovi spazi per il lavoro
Il totale abbandono degli uffici pare dunque essere una prospettiva poco realistica, per diverse ragioni. Quali sono allora le best practices per consentire di tornare in ufficio in sicurezza? E l’ufficio deve essere proprio come l’abbiamo sempre pensato?
Lo spazio è il primo elemento di cui tenere conto. Occorre mettere a disposizione ambienti abbastanza estesi per assicurare il distanziamento professionale nel rispetto delle normative anti-Covid. Al di là del distanziamento sociale da garantire con l’adeguamento delle postazioni lavorative, una difficoltà rilevante deriva dalla gestione degli spazi condivisi: è importante ripensare le aree comuni in cui le persone si spostano e affluiscono, rischiando di generare l’effetto a collo di bottiglia. Per scongiurare i rischi derivanti dalle zone a forte affluenza, bisogna innanzitutto ripensare le modalità stesse di godimento di tali aree, oltre che i tragitti per giungervi e i tempi di utilizzo. Un nuovo modello di spostamento all’interno degli edifici, dunque, ma anche l’impiego di tecnologie fino a poco tempo fa destinate solo al settore sanitario e pochi altri, quale per esempio la luce ultravioletta per la disinfezione di bagni, ascensori e sale riunioni sul modello sanitario.
In questo senso, specie se gli spazi di lavoro non sono assegnati, ma condivisi da diversi lavoratori in diversi giorni, diventa fondamentale l’adozione della Clean Desk Policy: scrivanie con dotazioni standard vengono in questo caso assegnate di volta in volta a chi ne ha bisogno, che provvederà a lasciarle sgombere da qualsiasi oggetto personale così da renderle facilmente sanificabili e pronte per il successivo utilizzo. Un’impostazione che – se anche è stata pensata appunto per la condivisione degli spazi – sarebbe bene adottare anche per scrivanie assegnate, così da rendere più agevole e approfondita la pulizia.
Flessibilità di spazi e orari
Un secondo elemento che è utile riconsiderare è quello del tempo. Allo scopo di limitare il numero di dipendenti presenti contemporaneamente nei luoghi di lavoro, si può ricorrere a orari di lavoro differenziati e su turnazione. È addirittura possibile pensare non più a una sede centrale che raccolga tutti i lavoratori, ma ad aziende strutturate sul modello Hub & Spoke (letteralmente, “mozzo e raggi”) già in uso nell’aviazione civile americana e, oggi, ampiamente diffuso in ambito ospedaliero. Il presupposto è che per malattie di complessa gestione occorrano competenze specialistiche costose che non possono essere assicurate su tutto il territorio. Per questo motivo, i casi più complessi vengono concentrati in un limitato numero di sedi centrali (Hub), mentre i casi che si pongono sotto una determinata soglia di complessità vengono dirottati verso i centri periferici (Spoke).
Questo modello organizzativo, naturalmente adattato al diverso mondo delle imprese, potrebbe essere declinato anche in ambito lavorativo in una strutturazione in cui la sede centrale (Hub) smista le varie attività agli uffici periferici (Spoke), dislocati in luoghi diversi della stessa città.
I vantaggi di questo modello? Uffici meno popolati e, soprattutto, minori spostamenti dei dipendenti, che potrebbero scegliere la sede più vicina alla propria abitazione senza essere costretti né a lunghi percorsi sui mezzi pubblici, con tutti i rischi che questi comportano, né all’utilizzo di vetture private, con le conseguenze facilmente immaginabili per l’ambiente. Non solo: la riduzione degli spostamenti consentirebbe anche di guadagnare più tempo per sé stessi e per la propria famiglia, con un miglior bilanciamento del rapporto lavoro – vita privata e di conseguenza una maggior soddisfazione del lavoratore, che a sua volta si trasformerebbe presumibilmente in un maggior rendimento professionale.
La crisi può diventare un campo di sperimentazione per la creazione o l’applicazione di nuovi modelli, costringendoci a ripensare in modo creativo i paradigmi lavorativi cui eravamo abituati. Dando vita a una risposta win-win.